L’oro bianco della Campania: il latte di bufala

Abbiamo scelto tra i pochi  comuni denominatori di questa “campania d’amare” un elemento che molti ci invidiano, tanti ci copiano, ma nessuno possiede tranne noi… il latte di bufala  campano. Se pensate che il latte di bufala si può usare solo per fare la mozzarella, avete una visione molto limitativa di questa sostanza, considerato che oggi sta prendendo piede sempre più l’utilizzo del latte di bufala campana come ingrediente parte e non come componente assoluto.

E’ proprio questa nuova veste del siero campano  che ci spinge ad elencarvi una serie di suggerimenti , delle dritte che vi aiuteranno a sorprendere i vostri amici e parenti perchè proprio quella cosa, loro non la sapevano!

Panettone di Milano? Pandoro? No, Pan(n) di Bufala!
Questa deliziosa leccornia nasce in piena Terra di Lavoro, in quel di Casapulla, nell’interessante laboratorio del http://www.ilgiardinodiginevra.it/ Partiamo subito col dire che questo panettone ci regala sia  momenti dolci che salati, considerato che la componente del burro è stata soppiantata dalla panna fresca di bufala e non sono presenti nè canditi e zucchero in pochissima quantità.
In questo modo, il vostro regalo gastronomico, metterà d’accordo un pò tutti e non bisognerà più dimenarsi tra l’erno dilemma: “ma prefeiscono il dolce oppure il salato” Geniale,  vero?

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La bufala ti fa bella!
A chi proprio devi regalare un vezzo di bellezza, regala il latte di bufala.
Le creme se sono di qualità, sono fatte con una componente di latte che  dona freschezza, idratazione e luminosità alla pelle.  Ecco, in commercio  trovrete anche chi ha creato creme e detergenti liquidi per il corpo sulla base del latte di bufala campano che conferisce ai prodotti tipicamente profumati di bambino, di zucchero, di vaniglia, anche il profumo dei campi della Campania.   Considerato quanto dovrsti spendere per comprare una crema magari prodotta con latte sintetico, sarebbe meglio regalare un bel prodotto dai sentori nostrani? Questi di http://www.biancamore.it/ ci sembrano molto ben fatti, i prezzi sono accettabili e sappiamo che il latte è very original, what alse?

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Il Bayles campano: il Guappa (molto meglio)
Eccoci arrivati al regalo per eccellenza, quello cioè che è di rito quando tipo durante le feste ti invitano i parenti oppure gli amici per una cena in compagnia; viene spontaneo portare una boccia, ma che sia  qualcosa che non si esaurisce in una sera, qualcosa che i padrono di casa potranno consumare nel corso delle loro serata. Anche in questo la nostra amata bufala ci accompagna e ci assiste: le http://www.distilleriapetrone.it/ infatti hanno ideato il “Guappa” che attualmente pare sia l’unico liquore fatto con latte di bufala campana.  Perchè comprare rhum di importazione, piuttosto che grappe del nord, oppure liquori tipo Bayles, se abbiamo il nostro Guappa che è degnamente capace di tenere testa alla sua concorrenza?

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Una serata al Jarmusch Club, Caserta.

Chi non conosce il Jarmusch Club, ormai storico locale di Caserta neanche troppo sottilmente intitolato al grande cineasta indipendente Jim Jarmusch? Noi siamo dei vecchissimi habitué del Jarmusch. Non badate alle recensioni che trovate in giro, come questa di 2night Caserta

Il Jarmusch club è un’associazione culturale Arci. Da oltre otto anni rappresenta a Caserta uno dei ritrovi preferiti degli amanti della musica e della buona birra. Il Jarmusch club è caratterizzato da un ambiente raccolto, colorato e confortevole ed una programmazione culturale intensa e variegata: musica live, teatro, mostre, proiezioni.

I meriti del locale sono il suo ambiente caldo e rilassato – da tempo durante le vacanze di Natale vi si ritrova tutta la gioventù emigrante casertana in una confusione di accenti e di frasi urlate anche in lingue straniere. Le iniziative culturali quali mostre, proiezioni e soprattutto concerti sono uno dei punti di forza del Jarmusch, anche se noi andiamo al locale non per  i concerti né per i film, ma semplicemente per adagiarci sui suoi comodi divanetti, bere una birra e godere l’atmosfera veramente libera e molto informale. In ciò la nostra opinione è in minoranza, poiché molti sono richiamati al Jarmusch dagli eventi. La birreria infatti ospita artisti indipendenti di tutto rispetto, come i Putan Club, che vi hanno suonato ieri sera.

Il locale non ha una buona acustica, ma d’altro canto di una birreria si tratta e non di un auditorium. Noi non eravamo troppo interessati ai Putan Club, anche un giro al Jarmusch ci fa sempre molto piacere. Quindi abbiamo deciso di visitare prima altri due locali – che recensiremo tra pochi giorni – per degustare le loro birre artigianali.

Deliziati dall’ottima esperienza, sfidiamo il freddo della notte per raggiungere con grande fatica il nostro vecchio caro Jarmusch perché lo ricordavamo come un ambiente dove finito il concerto o la proiezione, era possibile fare due chiacchiere davanti ad una birra. Una birra commerciale perché  non si può bere sempre e solo artigianale!

Entriamo accolti dalle mura rosse e da un caleidoscopio di giovani e meno giovani avventori. Voilà il nostro tavolo preferito è libero! Ci sediamo e…..orrore e sgomento! Terminato il concerto ha inizio un’ottima musica, tutti i nostri artisti preferiti, ma una musica che sfonda il muro del suono! Parlare è impossibile, e le frasi urlate nelle orecchie dei nostri amici sono ahimè incomprensibili.

Due richieste di abbassare il volume vengono ignorate. Quindi non finiamo neanche di bere le nostre birre, paghiamo ed andiamo via.

La minestra maritata – Ricetta tradizionale di Bartolomeo Zito

“Mangiamo alla Napoletana, Cucina casereccia napoletana per le quattro stagioni” è un classico della cucina napoletana, ormai diventato un pezzo d’antiquariato. L’edizione del maggio 1976, che ho sotto mano mentre scrivo questo post, è in vendita su AvitabileAmazon per ben 30 Euro – quando il prezzo di copertina del libro era in origine di sole 4.000 lire!

Per festeggiare il ritrovamento di questo classico della nostra cucina vi trascrivo la ricetta della minestra maritata. In rete sono molte le ricette della menesta mmaretata – da quella molto tradizionale pubblicata sul blog di Luciano Pignataro, alla variante moderna di Giallo Zafferano, ricetta molto controversa e criticata data la sua semplicità.

Enzo Avitabile tramanda la ricetta di Bartolomeo Zito, detto ‘Lo Tardacino’. Attore della commedia dell’arte attivo nel XVII Secolo, Zito non può che darci la vera ricetta tradizionale della minestra maritata. Senza nulla togliere agli altri blogger, questa è forse non l’unica ricetta, ma sicuramente una delle più antiche. La riporto lettera per lettera, inclusi i refusi, per la gioia dei vostri palati.

MENESTA MMARETATA

(per 6 persone)

Menesta Mmaretata – Questa minestra era il classico “pignatte grasso” o minestra maritata. Fu una delle tipiche pietanze dei napoletani che la mangiavano quasi quotidianamente, tanto da fargli meritare l’appellativo di “mangiafoglie”, in seguito sostituito da “mangiamaccheroni”. Quasi certamente essa è una derivazione dell'”olia podrida” spagnola, una minestra composta appunto da varie qualità di carni.

La pietanza fu apprezzata e lodata fin dal ‘500 da G.B. del Tufo; V. Corrado, nel “Cuoco Galante” la chiama “potaggio di broccoli”, Ippolito Cavalcanti la riporta tra le sue ricette semplificando la preparazione. Comunque essa resta ancora uno tra i piatti prediletti dei nostalgici buon gustai della tradizionale cucina partenopea. Tra le tante ricette tramandateci vi riportiamo questa di Bartolomeo Zito detto  il “Tardacino” se non altro per il suo colorito linguaggio tutto partenopeo.

“Carne de jenco grassa, capone ‘mpastato, gallina casareccia, saucecciune de Costa, na fella de verrina, quatto cape de saucicce cervellete, no piezzo de caso nostrano; ossa mastro, spezie, e po’, cotte che songo, na bella torzata de foglie, le cimme cimme, e se lassano vollere soave, soave pò lassale reposare no poco e bì che magne” (Carne di vitella ben grassa, cappone imbottito, gallina allevata in casa, salsicciotto formato con tritumi di budella di maiale e di altri ritagli di carne suina conditi con sale, pepe e anice, quattro capi di cervellatine, una fetta di mammella di vacca, ossa da brodo, un pezzo di caciocavallo, pepe e quando il tutto sarà cotto si aggiunga una abbondante affettata di varie verdure, solo le cimate, raccomanda lo Zito, e lasciate che il tutto bolli pian pianino. Quindi lascerete riposare per poi gustare la ghiotta pietanza.

Perché maritata? Si chiederà il nostro lettore. Proprio per quel salsicciotto “sauciccione” messo per intero tra le altre carni con le quali si maritava…Ed eccovi ora la ricetta semplificata ma altrettanto gustosa come l’antica che potrete ancora farvi servire in una tipica osteria napoletana di campagna o che potrete prepararla da voi stessi, certamente non consigliabile per i deboli di fegato.

In una pentola, con poca acqua non salata fate cuocere assieme ad un “mazzetto” ed  a fuoco moderato, un osso di prosciutto, qualche cotica salata, un piccolo salame, un pezzo di gamboncello di vaccina, residui di costolette di maiale sotto sale, (tracchiolelle), qualche “noglia” (salsicciotto confezionato con pezzetti di intestini di maiale o di altri ritagli di carne suina conditi con sale pepe e seme di finocchi secchi), il tutto s’intende molto ben lavato, ed ancora qualche salsiccia fresca. Quando la carne sarà cotta, spolpate l’osso di prosciutto e la carne ricavata unita alle altre la taglierete a pezzi e in un poco di brodo la metterete da parte. Lasciate che il brodo si raffreddi, poi liberate la superficie del grasso che si sarà composto e rimettete quindi sul fuoco.

In altra pentola, in acqua poco salata ed a bollore versate un’affettata delle seguenti verdure che avrete ben lavate: cappuccio, tornelle, scarselle, cicorielle, broccoli di foglie, broccoletti. Quando il bollore sarà ripreso, togliete dal fuoco le verdure e passatele per uno scolamaccheroni premendo con un mestolo. Quindi, con aggiunta di dadi di caciocavallo e di un pezzetto di peperoncino rosso, le finirete di farle cuocere nel brodo bollente. Verso la fine della cottura sorvegliate il sale, aggiungendone se necessario. Mandate la verdura in tavole con formaggio parmigiano grattugiato a parte, in modo che ogni commensale possa servirsene a piacere.

Cappuccia mondata gr. 400 – Torzelle gr. 450 – Scarolelle gr. 350 – Cicoria gr. 400 – Broccoli di foglia grondati gr. 400 – Broccoletti mondati gr. 250.

1 osso di prosciutto – Cotica salata gr. 150 – Salamino gr. 150 – Gammoncello di vaccina gr. 300 – Tracchole gr. 200 – Salsicce fresche 2 – “Noglia” gr. 200 – Caciocavallo gr. 70 – Peperoncino un pezzetto – Mazzetto guarnito 1 – Parmigiano.

….ed il vino, direte, che vino abbina Avitabile alla minestra maritata? Con suprema gioia nell’ anticipare le reazioni orripilate di sommelier ed intenditori – che credono che il vino sia solo per loro – Avitabile dice: Vino ‘e Gragnano

Il Paradiso della Birra in quel di Telese….

Era una notte buia e tempestosa, e l’allegra brigata di Vino Collettivo si inerpicava su per le colline e le montagne del Sannio, alla volta della nostra Mecca del Sabato Sera. VINO! Direte, mentre già i profumi dell’ Aglianico del Taburno e della Falanghina del Sannio vi avvolgono le narici….ed invece stavolta no: birra! Si, perché la birra non è meno complessa del vino, la degustazione richiede altrettanta arte, ma è infinitamente meno minacciosa che l’aver a che fare con gli intrattabili sommelier del vino.

La birra è per tutti, e Hops20 comunica bene l’idea fin dall’inizio. Il locale si presenta  con un ingresso moderno ed essenziale. Per chi non lo sapesse, hops significa luppolo: il concetto è chiaro. Qui si viene per degustare, per apprendere la cultura della birra.

Hops20

Ed infatti capiamo subito di essere in ottime mani.  Dimenticatevi di tutti quei pub dove l’arredamento è comprato “chiavi in mano”, questo è un locale autentico, vero, e la cura posta nei dettagli lo dimostra.  Ecco alcuni ingredienti della birrificazione esposti sul bancone:

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La cultura della birra è anche una cultura mediterranea. Per fare una buona birra non serve essere tedeschi, ma amare i bouquet di aromi che si dipanano dai calici, i sentori maltati, fruttati, ora più dolci ora più decisi che si dipanano lentamente ad ogni sorso.  Questa è l’esperienza della birra. Ogni carattere, ogni personalità, ha un suo stile di birra. A me, ad esempio, piacciono molto le birre di frumento, dense rinfrescanti e dai sapori e dagli odori fruttati. Altri della compagnia hanno un temperamento diverso. “Che gusto vuoi provare stasera?” chiedo – la carta delle birre offre una scelta così ampia da accontentare tutta la compagnia: Porter, Weiss, IPA, Stout….ed anche quale Lambic (non nella foto).

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Gioielli tutti Italiani, molto lontani dalle robe commerciali servite dalla maggior parte dei bar. I prezzi sono onestissimi. Io ho provato la Check Point, la weiss e la porter di Lady B, la Antoniana (non in foto) e la Sally Brown. Le birre artigianali sono di ottima qualità, prive di additivi, e quindi NON UBRIACANO. Morale: potete bere quanto volete e svegliarvi in ottima forma il mattino dopo. (Alla fine della serata in ogni caso ho lasciato che fossero altri a guidare.)

Vi lascio con questa foto di una Check Point, una American Pale Ale dal bouquet freschissimo. Ordinatela, e dopo le prime note fresche sentirete dei sapori pieni, amari con un finale molto secco e persistente di luppolo. Una birra per caratteri decisi, adatta a queste serate fredde…

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Peppe Lese, il titolare di Hops20, è riuscito a creare un locale innovativo, che non offre solo birre, ma diffonde anche la cultura della birrificazione artigianale (trovate le iniziative sulla pagina facebook di Hops20). L’esperienza di bere Weiss pugliesi, Porter campane ed American Pale Ale romane va certamente ripetuta!

Telese term is an Italian town better known for its thermal baths than for craft beer.

When you visit the area and are dragged to a local brewery serving only craft beer rather than the ubiquitous commercial stuff things start getting interesting.

When you are told the craft beer you will taste is not even produced in the Samnium Region but in Salento, a region where the culture is totally different or so I am told, you understand your host is definitely up to something.

But it is only when you are served a Porter and a Weissbier produced by an Italian microbrewery that the palatal intrigue begins. The microbrewery in question goes by the name Microbirrificio Lady B  and is based in Scafati. This is a place we would very much like to visit to have an opportunity to taste – and review – each one of the seven beer styles they produce. Our local brewery unfortunately served only the Lucy Porter and the Doerte Weizen.

Don’t be deceived by the simple, retro-looking label.

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This small bottle, with its carefully hand-written lot number, packs a powerful punch

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Porters are not my personal favorite, I am much more of a Weissbier and IPA person, but given I had recommended the Lucy Porter to one of the guys, I had to taste it and…….ta-daaaaaah! The effect this beer had on me was pure Road to Damascus. The more I drank, the more I kept getting back to the glass.

Lucy Porter, oh, Lucy Porter your flavors harmoniously unfold in a tantalizing alternation between sweet warmth and crisp sharpness! Dense, strong notes of coffee and chocolate slowly wrapped up my taste buds, the flavors smoothly dissolving until I was hit by a lasting smoky aftertaste that kept lingering on and on and on and on….until I tried the Doerte Weizen. I was not equally enthusiastic about Lady B’s Weissbier, but the Porter is definitely a must try!

Oneri ed onori del cibo e del vino campano. Intervista a Mimmo Gagliardi

Vino Collettivo, ad onta delle proteste che ancora infiammano Hong Kong, è riuscito a superare lo spazio ed il tempo aggiundicandosi un’intervista con Mimmo Gagliardi, editor di Giri di Vite. Ci auguriamo di poter incontrare Mimmo di persona molto presto, magari davanti ad un bel bicchiere. Nel frattempo vi lasciamo all’intervista. 

…dura la vita del foodblogger in Campania?

In Campania, come in tutto il Sud, c’è molto fermento per un comparto che da pochissimi anni si sta sviluppando. L’aumento delle interazioni sui social media ha consentito di portare all’attenzione del grande pubblico molti locali. Il web e la TV hanno evidenziato quanto sia importante la comunicazione e la diffusione del proprio brand, ancora prima dell’assaggio del prodotto, in un universo virtuale dove immaginare come è un piatto cucinato in diretta tv o leggere il racconto della degustazione di un vino è paragonabile ad una vera e propria degustazione. In questo particolare ambito sono venute a crearsi le figure dei Responsabili Marketing e Comunicazione e quella dei food blogger. I primi impegnati a promuovere e far conoscere al pubblico il locale e i cuochi (piuttosto che le aziende vinicole ed i vini, ecc.) ed i secondi provvedono alla diffusione capillare della notizia e incuriosiscono i probabili fruitori dei locali con le loro foto e i loro commenti. Qui viene la “durezza” della vita da food blogger: riuscire a stare al passo con le numerose iniziative di un comparto tutto nuovo e in cui si sta investendo molto.

Oneri e onori di chi vuole parlare di cibo&vino campano

Sono in tanti a cucinare e a fare vino, hanno voglia di investire nella propria immagine e i bloggers sono altrettanti, se non di più. La Campania è grande, vastissima dal punto di vista delle cose belle e buone da saggiare, quindi gli oneri derivanti dalla scelta di dedicarsi a questa attività sono un notevole impegno economico e di tempo libero, oltre a una notevole predisposizione a percorrere tanti chilometri, a non aver paura di sporcarsi i piedi ed a saper ascoltare e capire. Gli onori sono l’assaggio di cose meravigliose e la conoscenza di luoghi e persone. Tutto questo mi arricchisce.

Quanto (e se) ti corteggiano i produttori per visibilità web?

Assolutamente nessuno: perché reggo bene il vino, quindi ne consumerei troppo e mi sazio tardi. Seriamente parlando, non posso negare che c’è stato chi, pur non conoscendomi di persona ma solo attraverso i social network o perché aveva letto qualche mio articolo in rete, mi ha invitato a saggiare i suoi prodotti, ma ho sempre detto a tutti che i miei “giri di vite” sono fatti per passione e per il gusto della scoperta. Da qualcuno ci sono andato ma in incognito, pagando il conto e senza dire nulla (anche per vedere se mi riconoscevano) e tutti i posti in cui sono stato e che mi hanno dato una bella sensazione, sono descritti nel mio diario “enogastronomicoculturale”.

Riusciremo ad uscire dalla bad reputation “Terra dei fuochi”?

La cattiva pubblicità derivante da questa brutale ferita inferta al nostro territorio da pochi delinquenti ha cagionato un notevole danno d’immagine all’intera Campania, anche se si tratta di un fazzoletto di terra di pochi chilometri quadrati, poiché, purtroppo, al pubblico viene dato in pasto un misto di informazioni frammentarie e strumentalizzate. La Campania, però, ha dimostrato, anche grazie all’efficace politica di comunicazione dei Consorzi di Tutela dei vari prodotti di eccellenza, che il fenomeno è stato circoscritto e che in questa regione la qualità prevale.

Quanto è bella la Campania?

E’ una regione completa. E’ paragonabile a un piccolo scrigno dove puoi trovare ogni tipologia di territorio rinvenibile al mondo, eccezion fatta per il deserto, gli atolli e l’artico. Le emozioni della vista dal cono del Vesuvio o dell’Epomeo, oppure il panorama da Sant’Agata sui due Golfi, le bellissime colline verdi dell’Irpinia, i paesaggi del Taburno o di Roccamonfina, la piana del Sele, le isole, ma potrei continuare all’infinito, attaccando con il patrimonio artistico, archieologico, le cose da mangiare e da bere, quindi mi fermo qui. Gli antichi, molto più saggi e scaltri di noi, lo avevano capito bene definendola Campania Felix, per la serie: “ho detto tutto”.

Tre dritte agli imprenditori campani, su come cogliere le opportunità esistenti sul nostro territorio

Primo, comunicare la cultura delle proprie origini.

Secondo, comunicare il prodotto in quanto frutto del territorio.

Terzo, comunicare se stessi attraverso i propri prodotti.

La qualità e l’informazione sono alla base di qualunque attività e mezzi di comunicazione ce ne sono, anche gratuiti; sarebbe un delitto non approfittarne.

Tre parole per conquistare nuovi mercati

Umiltà (intesa come voglia di apprendere misurandosi con rispetto con altre realtà e col mercato)

Comunicazione (vedi sopra)

Investimento (voglia di portare in giro il proprio prodotto).

Dove sarà Giri di Vite nel 2025?

Per mia scelta personale ho optato per la concessione di un dominio web dedicato e non di spazi gratuiti per blog su altri siti primari, perché non l’ho mai ritenuto un foodblog o wineblog, ma, piuttosto, un diario delle mie personalissime esperienze a beneficio delle mie figlie. Se non mi aumentano il canone per l’affitto del dominio, ad oggi circa 30 euro l’anno, credo che GIRIDIVITE.IT lo troverete lì dov’è ora, con le sue 200.000 pagine lette annualmente dagli affezionati o dai curiosi, anche perché di cose da conoscere e di cui scrivere, ce ne sono abbastanza da arrivare anche al 2125 e oltre.

Una serata al Ristorante Va Bene a Lan Kwai Fong

I food blogger in genere escono allo scoperto, ma noi ce ne stiamo acquattati tra le pieghe di internet, vicoli stretti e locali affollati. E quando qualcosa che vediamo, sentiamo o mangiamo in un ristorante ci colpisce lo recensiamo. Oggi vi parliamo del ristorante italiano Va Bene, che qualche tempo fa era stato recensito su Hungry Hong Kong.

Va Bene si trova nel cuore di Lan Kwai Fong, il centro pulsante della vita notturna di Hong Kong, porto di approdo di expat e turisti.

L’insegna non colpisce.

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Potremmo essere a Bari vecchia come nel cuore di Palermo.

La sala però riserva una piacevole sorpresa. Negli spazi angusti di Lan Kwai Fong Va Bene è riuscito a ricavare un ambiente spazioso ed arioso per gli standard locali, ed anche molto confortevole. L’atmosfera è senza dubbio italiana.

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Arriviamo al locale dopo un’intensa giornata di lavoro (avevamo saltato anche il pranzo) ed il maître de salle ci fa accomodare dove vogliamo. Questo è un punto a favore di Va Bene. Di solito qui, anche in locali di alto livello, il maître ti si para davanti con fare autoritario, bloccandoti la visuale del locale, stende un braccio, e ti ordina dove andare a sedere. Poi inizia a camminarti davanti trascinando i piedi, e ti costringe ad ordinare IMMEDIATAMENTE. Non così da Va Bene, dove lo staff locale conosce i rudimenti dell’ospitalità, e lo staff italiano intrattiene i clienti internazionali con fare amabile, mentre noi guardiamo il menù.

E la carta dei vini.

Ecco la prima pagina, fotografata rigorosamente senza includere i prezzi nella foto. La carta dei vini è molto, ma molto più ricca di quello che vedete qui in basso ma noi, proprio perché blogghiamo in maniera anonima ed indipendente, abbiamo preferito non fotografarla tutta.

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Da Va Bene non abbiamo bevuto vino, perché noi il vino sulla pizza non lo beviamo MAI, ed a noi era presa una voglia irresistibile di pizza.

Ecco la pizza

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Su questa pizza margherita c’era una vera mozzarella di bufala campana. Come lo abbiamo scoperto? Usciti dal locale ci siamo intrufolati in uno degli edifici li vicino, dove nell’ascensore abbiamo incontrato un’aiuto di cucina che indossava una giacca con il marchio di Va Bene. La commis stava trasportando buste e buste di mozzarelle, il cui marchio non vi diciamo. “Guarda, queste sono le mozzarelle che ho mangiato sulla pizza!!!!! Mi fai vedere una busta?”

Mozzarella di Bufala Campana DOP. Confezione originale, non contraffatta.

Altro punto a favore.

Unico punto contro: la pizza era stata cotta nel forno elettrico. E non veniteci a raccontare il contrario. L’impasto è ottimo, ed è la qualità dell’impasto che salva quella che la cottura in forno elettrico rende obiettivamente una pizza mediocre. Dall’immagine potete vedere come il cornicione è molto basso e duro, e come la pizza si spezzi quando la afferrate. Si, va bene, gli stranieri non notano la differenza….ma noi non siamo stranieri. 

Ritorneremmo da Va Bene?

L’accoglienza è ottima, e sia il menù che la carta dei vini erano interessanti. La location di Lan Kwai Fong è molto angusta, ma questa è una questione di gusti personali. Lan Kwai Fong con i suoi odori che emanano dalle strade, dai tombini e che si sentono nei palazzi o si ama o si odia. Noi odiamo Lan Kwai Fong, ma non vi è dubbio che sia una location strategica.

I prezzi erano nella norma, circa 14 Euro per la margherita. Tutto sommato, capitando di nuovo a Lan Kwai Fong potremmo provare altri piatti sul menù, come il galletto arrosto ad esempio. Ma non la pizza. La pizza no.

Se volete provarlo il locale è qui.

L’uscita della metro più vicina è Central, uscita G.

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La finta mozzarella

Mentre alcuni di noi se ne vanno allegramente in giro in quel di Solopaca, altri sono tutti presi dall’immane opera di documentare l’esistenza di finte mozzarelle, finti sughi, finte paste, finte lasagne ecc. sugli immensi mercati asiatici.

Questo è un post di poche parole e molte immagini, immagini grandi e lunghe da caricare quindi abbiate pazienza se non riuscite a visualizzare tutti questi capolavori subito. Il caricamento delle immagini potrebbe richiedere un momento, ma vi promettiamo che ne vale sul serio la pena.

Ecco una vera mozzarella

Fonte: Wikimedia Commons

Mozzarella autentica

Ed ecco ciò che i consumatori dei soliti paesi asiatici che non nominiamo conoscono come mozzarella.

“Mozzarella” grattugiata in sacchetto

Mozzarella Perfect Italiano

Signore e signori, ecco a voi la “mozzarella” grattugiata “Perfect Italiano”, in vendita in confezioni da circa 400 grammi alla modica cifra di 6,50 Euro circa. Ma la sfilata delle mozzarelle non finisce qui.

 

“Mozzarella” grattugiata in bustona

La prossima candidata è la “mozzarella” Crystal Farms, una mozzarella – dice la confezione – “poco umida”, ma fatta tutta di formaggio naturale.

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Una “mozzarella” in comode fettine quadrate

Proseguiamo con la “mozzarella” President, mozzarella tutta speciale per la pizza, in vendita in un comodo formato sottiletta, con quel suo colore giallo carico così invogliante. Mmmmmmm….già ne sento il sapore….buoooona.

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“Mozzarella” senza particolari qualità

Dulcis in fundo, vi presentiamo la “mozzarella” Finello, con quel suo nome che suona vagamente italiano ed attrae i consumatori…

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lasciamo da parte complicate discussioni sui marchi DOP e DOC, e parliamo di questioni molto più essenziali.

Il consumatore straniero, che forse non ha mai visto una vera mozzarella, ogni volta che mette piede in un supermercato si trova bombardato da tutte queste “mozzarelle”. Secche o umide, intere, a fettine o grattugiate, sono un prodotto adatto alle sue abitudini alimentari. Le acquista, pagando prezzi che non vi dico, e le usa.

Come reagirà il consumatore alla vista di una vera mozzarella? Non pensate che nella grande distribuzione non arrivi la mozzarella. Potrei raccontarvi la storia di un caseificio aperto molto tempo fa a Pechino, o dei prodotti che si trovano nei Carrefour. La mozzarella in busta di alcune note marche arriva alla grande distribuzione, insieme ai prodotti di altre marche che in Italia troviamo nei discount. Però quando  il consumatore vede la vera mozzarella solleva la bustina di plastica, la annusa anche se non riesce ad odorare niente (fidatevi, li vedo con i miei occhi ogni volta che vado al supermarket), la mette giù con un aria lievemente disgustata e con mio immenso sgomento acquista la “mozzarella” Finello…Potrei raccontarvi di quella cena di lavoro ove Tizio si avventò su di una mozzarella 100% di bufala, freschissima, per poi sputarla sul tavolo esclamando “Ma questa roba cos è?!?!?!” Ma non lo farò, poichè il mito del consumatore asiatico raffinato e dalle abitudini alimentari cosmopolite è un mito che non deve morire.

Due parole sulle foto…

Le finte mozzarelle in circolazione sono molte ma moooolte di più di quelle che vedete in questo post, ma nei supermercati è vietato fotografare le merci, ed il perché lo possiamo immaginare.  Queste foto sono state fatte tutte da noi pian piano, e recuperate da un nostro vecchio account Instagram.

Si chiama Polvere di Ippocrasso ma polvere non è…

e serve a darti l’allegria! Potremmo dire citando un famosissimo cartone animato molto in voga negli anni ’80. La Polvere di Ippocrasso non è polvere ma un vino medievale. Non vi annoio raccontandovi della derivazione del nome “polvere di ippocrasso”, dei richiami ad Ippocrate, ai vini greci, ed ai ricettari medievali ecc. Vi dirò di come abbiamo scoperto questo vino, e delle nostre indagini.

Abbiamo scoperto la Polvere di Ippocrasso a Grumento Nova in Basilicata, all’agriturismo Parco Verde durante una delle nostre peregrinazioni nelle Terre del Sud.  Per farvi capire di che si tratta, pubblichiamo questa foto senza troppe ciance.

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Albero Padre della Basilicata

Questa quercia ha 700 anni di vita, ed è tra gli alberi padre della Basilicata (per chi fosse interessato agli alberi monumentali lucani, rinviamo a questo file). Chiunque altro, ad esempio un imprenditore cinese, di Hong Kong o di Taiwan, non ci avrebbe pensato su due volte – abbattendo l’albero per far post a più tavoli dove accomodare i clienti. Ma volete mettere le sensazioni di pace che da sedere sotto questa quercia?

Il vino è un ottimo agente di veicolo dei principi medicinali, e la Polvere di Ippocrasso è fatta con miele, cannella, zenzero, galanga secca e pepe nero. Ma è proprio vero che questi ingredienti fanno bene? Guardiamo alle loro proprietà.

Miele 

Sappiamo come un cucchiaino di miele sciolto in una bevanda calda sia eccezionale in caso di tosse. Infatti, il miele è un ingrediente ben noto della medicina popolare. Visto che la Polvere di Ippocrasso si beve calda, il consiglio è di tenerne una bottiglia in casa, e di farvi ricorso alle prime avvisaglie di raffreddore. Con moderazione però!  Bersi tutta la bottiglia bene non fa, ma uno o due bicchierini da 4 cl sono sicuramente meglio di un OKI.

ippocrassoCannella

La cannella è da sempre un ingrediente della medicina tradizionale cinese, che si basa anche e soprattutto su tonici. Pensate un po’, la Polvere di Ippocrasso contiene proprio cannella, un potentissimo antiossiddante  ed antibatterico, in grado di abbassare il livello della pressione sanguigna.

Zenzero

Ecco qui un’altra pianta officinale miracolosa! Anticoagulante, antiemetico ed anti-infiammatorio, proprietà documentate da un bel po’ di ricerca scientifica.  Precipitarsi nei negozi e nei mercatini etnici a comprare chili di zenzero per farne tisane è sconsigliabile – i rimedi fitoterapici non sono rimedi fai da te. Però, è possibile godere delle proprietà dello zenzero anche assumendolo in forma di vino liquoroso, unendo l’utile al dilettevole!

Galanga 

Non si tratta di un’erba medievale, ma di una pianta della famiglia dello zenzero che si, venne introdotta nell’Europa medievale, ma è originaria dell’Asia. Secondo il Centro Medico dell’Università del Maryland, la galanga ha proprietà antistaminiche. Detto in altre parole: può contribuire a rinforzare il vostro organismo contro le allergie stagionali.

Pepe nero

Qui la sostanza sul banco degli imputati è la piperina, l’alcaloide contenuto nel pepe nero, che ci fa starnutire se proviamo ad annusarlo. Sappiamo che il pepe nero “scalda”, sappiamo che ci piace tanto mangiarlo, perché da al salame quella punta di sapore in più, ma il pepe nero aiuta l’organismo ad assorbire nutrienti, quali il selenio e la vitamina B.

Ma diciamo la verità: queste sono tutte scuse.  A noi la Polvere di Ippocrasso piace per quel suo sapore bello robusto, che spiazza e sorprende il palato. Ed a noi la Polvere di Ippocrasso piace perché è un prodotto nostrano e non globalizzato. Potete ordinare la Polvere di Ippocrasso anche da Ulanbator, ma state pur certi che non la troverete sullo scaffale del supermercato, tra una bottiglia di Jack Daniel’s ed una lattina di Coca-Cola.

 

Come portare la Rivoluzione in spiaggia a suon di frutta

Sulle spiagge si sa, ci si va anche per farsi notare, e qui ognuno si inventa la sua. Ma nella generale smania dell’apparire, il difficile diventa attrarre l’attenzione. Ormai la trasgressione è così diffusa da essere diventata parte della normalità. Quindi se a voi non importa proprio nulla di trasgredire e farvi notare, sarà più facile trovarvi al centro dell’attenzione.

Come? Correte dal vostro fruttivendolo di fiducia ed armatevi di una di queste, anzi, meglio se ne prendete una cassetta intera.

Pesche_tabacchiera_1

Vi è chi fa la Rivoluzione a colpi di bottiglie molotov e bombe a mano, ma noi preferiamo una Bottiglia di Per ‘e Palummo ed una cassetta di pesche tabacchiere

Ed armandoci così andare in spiaggia. Infatti, La pesca tabacchiera è maneggevole. Potete mangiarla come un paninetto, con una mano sola, senza sbucciarla e tagliarla proprio perché è così piccola e schiacciata. Dopo una bella nuotata, è l’ideale. Salvo che, proprio quando volete starvene un po’  per i fatti vostri a poltrire sul lettino, si avvicina la classica signora vicina d’ombrellone.

Vi ha visto mangiare una cosa insolita, e vuole capire bene cosa state mangiando, ed anche perché. Si dia il caso che la signora non abbia mai visto una pesca platicarpa,  abituata com’è a comprare le classiche pesche tonde. Quelle che trovate acerbe da un lato e mature dall’altro, per intenderci. Quelle che non odorano di pesca, e sanno d’acqua.

Quando le dite che state mangiando una pesca, si, una pesca! arriva il commento “A me quella pesca fa impressione”. Morale: l’ho vista al supermercato, ma mi è sembrata strana, perché è diversa, e quindi non l’ho comprata! Attratte dalla novità, giungono le altre signore fin quando non si forma un capannello sotto il mio ombrellone. Chi non l’aveva mai vista, chi ne temeva la forma strana, chi pensava fosse una pesca falsa. Dal fruttivendolo, le signore non osavano allungare la mano per toccarla mentre tutte le altre pesche, quelle tonde, venivano palpeggiate senza ritegno.

Questa è una normalissima pesca, ed è anche una varietà tradizionale, proclamo. E’ una mezza verità ma non importa. Tiro fuori una seconda pesca, e la offro all’assaggio collettivo.

Odora, assaggia, come ti sembra? Questa pesca sa veramente di pesca, e la differenza è tutta qui. Sotto il sole di agosto, la piccola pesca dalla polpa bianca si scioglie in bocca, e le signore si convincono. Emergono i ricordi di quando ogni frutto aveva il suo particolare sapore. La pesca di pesca, l’anguria di anguria, la mela di mela.

Non so cosa le signore abbiano fatto quel pomeriggio, ma certo è che il giorno dopo la metà di loro sfoggiava l’ultima novità da spiaggia, la pesca tabacchiera.

Sai, mi dice una di loro, adesso quelle tonde non le compro più, perché preferisco queste.

Brava signora! Rivelo la ricetta del sorbetto di pesca. Ma ciò che non dico  è che io convinco la pesca tabacchiera a tuffarsi nel Per ‘e Palummo e restare lì, fin quando non aromatizza per bene il vino. Ad alcuni questa suona come una bestemmia, perché nel vino rosso freddo notoriamente va la percoca.

Ma noi siamo degli innovatori, e manteniamo vive le nostre tradizioni con quel tocco di creatività che non guasta mai.